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Violenza di genere, cattiva educazione alle emozioni, abbandono scolastico, delega da parte degli adulti all’intrattenimento digitale in cui versa l’infanzia, cultura usata come mezzo di separazione sociale, carcere inteso come reclusione senza rieducazione, parossismo consumistico generato dal capitalismo predatorio: sono i temi di Tredici canzoni urgenti, il nuovo album di Vinicio Capossela (uscito il 21 aprile su cd, vinile e in digitale), presentato ieri sera in Piazza del Popolo a Pesaro nell’ambito di UlisseFest- la festa del viaggio di Lonely Planet.
Ballate, waltz, jive e un cha cha cha costituiscono l’universo musicale delle 13 canzoni che nascono dall’urgenza di dar voce ai problemi più stringenti del momento storico che stiamo vivendo. Rappresentano un modo per l’autore, di condividere l’unica cosa che pensa di poter offrire: la propria urgenza di guardare insieme ad un presente sempre più spaventoso e difficile da afferrare, di vincere la tentazione all’indifferenza e ritrovare lo spazio per l’impegno e il confronto, per non lasciare che la legge del più forte si imponga sulla terra e il fatalismo ci travolga.
Sono umili parole, secondo lui. Secondo me, invece, rappresentano un forte, deciso e appassionato appello al cuore dell’umanità e alla sua dimensione più alta, affinché ritrovi nella parola crisi quella scelta che è sempre sottesa ad ogni grande cambiamento collettivo e torni a convincersi che la vera essenza dell’esistenza è nelle cose che non hanno prezzo.
Vinicio è un ‘rabdomante senza requie’, secondo la sua stessa definizione, ‘uno che insegue insaziabilmente suoni, storie, culture e personaggi di ogni epoca, riuscendo sempre a fagocitarne l’essenza, l’odore, il fascino, attraverso una sorta di bizzarra sospensione del tempo e dell’incredulità’.
Sono famose le sue ballate autobiografiche, sincere e malinconiche, le sue storie di notti insonni e di sbronze, amori perduti e solitudini, storie notturne delle sue esperienze nei club, come racconta in ‘Notte newyorkese’.
La sua musica vive di euforiche contaminazioni, tra swing e mambo, tango e twist, marce e ballate: i ritmi originali sono stravolti e rielaborati, nel segno delle contaminazioni più trasversali e dello humor più dissacrante.
Vinicio racconta la periferia, un mondo pieno di guai, affollato di guitti stralunati, strade chiassose e vecchie macchine. Con le quattro ruote, del resto, ha da sempre un rapporto intimo, nato negli anni in cui vagabondava lasciando come indirizzo il numero di targa e rifugiandosi in officine, pompe di benzina e, soprattutto, nella sua auto.
‘La macchina è il nostro transatlantico/ confortevole e familiare…/ è la nostra protesi’– scriveva.
Anche gli episodi più cupi sono riletti attraverso un sorriso ironico, come nella delirante funeral song della ‘Marcia del camposanto’, un’ode alla superstizione religiosa del Sud, affollata di un’inquietante umanità (becchini, sagrestano, materdomina, mammanonna, arciprete, marescialla zoppa di guerra) e di un’allarmante compagnia di uccelli e animali notturni (in cui compare una delle future bestie selvatiche della Cupa, la malogna, sorta di grosso tasso che popola la valle dell’Ofanto, in Basilicata, la terra dei suoi genitori).
La presenza della gypsy brass-band balcanica ha spesso aggiunto un ulteriore tocco di fragore e sentimentalismo ai suoi brani (‘Koćani Orkestar’) ma i Balcani sono anche terra di guerre, come quella che insanguinava anni fa il Kosovo. Vinicio la delinea attraverso un particolare, un treno nero che sfreccia tra le bombe, come quel soldato in fuga verso un’alba impossibile e una sposa dal velo squarciato che non tornerà- racconta nell’angosciosa ‘Corre il soldato’.
Nel 2010, quando la Grecia ha rischiato seriamente di andare in default sul suo debito, minacciando la sopravvivenza della stessa zona Euro, Capossela le ha dedicato il disco ‘Rebetiko Gymnastas’, un disco suonato in greco, per ‘debito nei confronti della terra che ha donato al mondo la civiltà’ ed una delle più straordinarie musiche urbane del mondo, il rebetiko, per l’appunto. Nato nella Salonicco degli anni Trenta amalgamando la tradizione ellenica, bizantina e ottomana, da emarginati che raccontavano i loro disagi o le loro peripezie tramite la musica, il rebetiko ha un valore analogo a quello del tango per gli argentini, del blues per gli americani o del fado per i portoghesi.
Capossela ha tenuto l’ultimo concerto a Pesaro in doppia rappresentazione (alle ore 18.45 e alle ore 21.30) il 21 ottobre 2020, sfuggendo per un pelo all’ultimo DPCM anti-Covid, in vigore dalla mattina successiva.
In quell’occasione presentò (senza lesinare riflessioni musicali su Rossini, Pergolesi e Bellini) ‘Pandemonium. Narrazioni, piano voce e strumenti pandemoniali’, offrendo al pubblico entusiasta un concerto narrativo con canzoni ‘messe a nudo’, scelte liberamente in un repertorio che nel 2020 compiva trent’anni dalla data di pubblicazione del suo primo disco ‘All’una e trentacinque circa’, l’orario in cui cantava al Pjazza (storico club di Bellaria -Igea Marina, mentre le cameriere sparecchiavano e rimettevano in ordine il bar.
Decisamente un fiume in piena questo impareggiabile narratore musicale, ritenuto da più parti ‘il miglior cantautore italiano della sua generazione ma soprattutto uno dei pochi artisti totali che la scena nazionale abbia espresso negli ultimi anni’.
Il tour di Capossela proseguirà al Forte di Bard, in Val d’Aosta (29 luglio), al Parco Archeologico di Sibari, nel Cosentino (2 agosto), per continuare nel prossimo ottobre a Ferrara (10), Napoli (12), Roma (13-14), Ravenna (16-17), Torino (19), Varese (20), Bari (23), Catanzaro (26) e Catania (29), Palermo (30).
Proseguirà in novembre a Pescara (4), Bologna (6-7), Ancona (8), Firenze (12), Milano (13), Parma (15), Padova (18) e Genova (21), per terminare a Trento (26) presso Il Centro Servizi Sociali ‘Santa Chiara’.

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